giovedì 30 aprile 2009

Seminari Seconda Edizione Master ECO-POLIS







Seminari Seconda Edizione Master ECO-POLIS







lunedì 27 aprile 2009

Il modello dell'oasi

Pietro Laureano (www.laureano.it), architetto ed urbanista si occupa da quasi 20 anni di zone aride, ecosistemi in pericolo (di cui è anche consulente UNESCO) e civiltà islamica. I suoi studi dimostrano come le oasi non siano eventi fortuiti o occasionali, ma il frutto di attenta organizzazione degli spazi e della gestione delle limitate risorse offerte dall'ambiente.

Nelle oasi si realizza un perfetto equilibrio tra uomo e ambiente che può essere preso come modello di quella che è la città sostenibile.

L'organizzazione dei territori è il risultato di conoscenze tradizionali in particolare nell'uso e gestione delle risorse idriche. Come presidente per 5 anni della UNCCD (Unite Nations Convention to Combat Desertification) ha lavorato alla creazione di una banca dati di quelle che sono le conoscenze tradizionali suddivise per varie tematiche (http://www.mappeonline.com/unesco/atlas/).
Come egli stesso ammette si tratta di un inventario rispondente alle necessità della cultura occidentale -eurocentrica di classificare operando delle separazioni per obbiettivi laddove queste sono originariamente inserite in un complesso socio-culturale in cui sono strettamente intrecciate.
L'efficacia delle conoscenze tradizionali dipende imprescindibilmente da questo fattore, cioè dal fatto di essere parte di un tutto. La comprensione di questo fattore si rivela decisivo anche nel momento in cui si interviene nei lavori di progettazione /ristrutturazione.
L'oasi è intesa come una realizzazione artificiale dovuta alla perfetta conoscenza ambientale. Nel deserto il contesto ambientale di aridità è interrotto da situazioni specifiche che creano nicchie e micro ambienti in contrasto con il ciclo complessivo. Una piccola depressione raccoglie umidità, un sasso dà ombra, un seme attecchisce. Si scatenano così dinamiche favorevoli: la pianta genera la sua stessa protezione ai raggi del sole, concentra il vapore acqueo, attira gli insetti, produce la materia biologica, costruisce il suolo da cui a sua volta si alimenta. Si crea una sistema biologico utilizzato da altri organismi che arrecano il loro contributo. Si attua una simbiosi, un microcosmo, frutto della co-esistenza. Utilizzando questi processi le genti del Sahara realizzano le oasi. Alla loro origine c'è spesso una singola palma piantata in uno scavo del terreno e circondata da rami secchi che la proteggano dalle sabbie. Con il tempo si sviluppano estese coltivazioni lungo canyon terrazzati o arcipelaghi verdi immersi tra le dune grazie a diversificate e complesse tecniche di produzione idrica, organizzazione del territorio e determinazione del microclima.
Il processo può essere assunto come modello e si può generalizzare il termine oasi a tutte le situazioni, anche in area non desertica, di creazione di isole di vivibilità secondo la seguente definizione: oasi è un insediamento umano in situazioni geografiche inclementi che utilizza risorse rare, disponibili localmente, per innescare un'amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile e auto sostenibile le cui caratteristiche contrastano l'intorno sfavorevole (Laureano 1988).
Il modello dell'oasi si propone quindi come teoria. Lo studio dei processi di stretta associazione uomo natura capaci di creare ecosistemi autopoietici, vale a dire in grado di perpetuarsi e rigenerarsi continuamente. All'alba del terzo millenio quando l'intera ecologia planetaria risulta minacciata da uno sviluppo inconsiderato e pervasivo, il modello dell'oasi traccia un'ipotesi di progettualità e cooperazione basata sulla simbiosi e l'alleanza.


Blandolino Sara, Tinella Roberto, Simboli Nicola, Secco Fenanda, Groppo Valeria, Priscilla Bitencourt, Valentino Aleotti, Francesca Indolfi.

Il modello dell'oasi

Pietro Laureano (www.laureano.it), architetto ed urbanista si occupa da quasi 20 anni di zone aride, ecosistemi in pericolo (di cui è anche consulente UNESCO) e civiltà islamica. I suoi studi dimostrano come le oasi non siano eventi fortuiti o occasionali, ma il frutto di attenta organizzazione degli spazi e della gestione delle limitate risorse offerte dall'ambiente.

Nelle oasi si realizza un perfetto equilibrio tra uomo e ambiente che può essere preso come modello di quella che è la città sostenibile.

L'organizzazione dei territori è il risultato di conoscenze tradizionali in particolare nell'uso e gestione delle risorse idriche. Come presidente per 5 anni della UNCCD (Unite Nations Convention to Combat Desertification) ha lavorato alla creazione di una banca dati di quelle che sono le conoscenze tradizionali suddivise per varie tematiche (http://www.mappeonline.com/unesco/atlas/).
Come egli stesso ammette si tratta di un inventario rispondente alle necessità della cultura occidentale -eurocentrica di classificare operando delle separazioni per obbiettivi laddove queste sono originariamente inserite in un complesso socio-culturale in cui sono strettamente intrecciate.
L'efficacia delle conoscenze tradizionali dipende imprescindibilmente da questo fattore, cioè dal fatto di essere parte di un tutto. La comprensione di questo fattore si rivela decisivo anche nel momento in cui si interviene nei lavori di progettazione /ristrutturazione.
L'oasi è intesa come una realizzazione artificiale dovuta alla perfetta conoscenza ambientale. Nel deserto il contesto ambientale di aridità è interrotto da situazioni specifiche che creano nicchie e micro ambienti in contrasto con il ciclo complessivo. Una piccola depressione raccoglie umidità, un sasso dà ombra, un seme attecchisce. Si scatenano così dinamiche favorevoli: la pianta genera la sua stessa protezione ai raggi del sole, concentra il vapore acqueo, attira gli insetti, produce la materia biologica, costruisce il suolo da cui a sua volta si alimenta. Si crea una sistema biologico utilizzato da altri organismi che arrecano il loro contributo. Si attua una simbiosi, un microcosmo, frutto della co-esistenza. Utilizzando questi processi le genti del Sahara realizzano le oasi. Alla loro origine c'è spesso una singola palma piantata in uno scavo del terreno e circondata da rami secchi che la proteggano dalle sabbie. Con il tempo si sviluppano estese coltivazioni lungo canyon terrazzati o arcipelaghi verdi immersi tra le dune grazie a diversificate e complesse tecniche di produzione idrica, organizzazione del territorio e determinazione del microclima.
Il processo può essere assunto come modello e si può generalizzare il termine oasi a tutte le situazioni, anche in area non desertica, di creazione di isole di vivibilità secondo la seguente definizione: oasi è un insediamento umano in situazioni geografiche inclementi che utilizza risorse rare, disponibili localmente, per innescare un'amplificazione crescente di interazioni positive e realizzare una nicchia ambientale fertile e auto sostenibile le cui caratteristiche contrastano l'intorno sfavorevole (Laureano 1988).
Il modello dell'oasi si propone quindi come teoria. Lo studio dei processi di stretta associazione uomo natura capaci di creare ecosistemi autopoietici, vale a dire in grado di perpetuarsi e rigenerarsi continuamente. All'alba del terzo millenio quando l'intera ecologia planetaria risulta minacciata da uno sviluppo inconsiderato e pervasivo, il modello dell'oasi traccia un'ipotesi di progettualità e cooperazione basata sulla simbiosi e l'alleanza.


Blandolino Sara, Tinella Roberto, Simboli Nicola, Secco Fenanda, Groppo Valeria, Priscilla Bitencourt, Valentino Aleotti, Francesca Indolfi.

Elogio dell’acqua del Sindaco



Assai spesso l'acqua delle Aziende pubbliche è più buona di quelle che acquistiamo nei negozi e, soprattutto, berla significherebbe dare un contributo importante alla riduzione dei rifiuti, seppure con un gesto quotidiano molto semplice.

Il consumo pro-capite d'acqua minerale in Italia è molto elevato: da circa sette anni siamo i primi consumatori al mondo, con circa 192 litri a testa all'anno (dati Minneracqua). Questo dato è determinato soprattutto da due fattori: i forti investimenti in comunicazione e marketing da parte delle aziende imbottigliatrici di minerale e, dall'altro, la ridotta fiducia verso l'acqua di rubinetto da parte dei consumatori.

Oggi molte Pubbliche Amministrazioni, stimolate da associazioni di tutela dell'ambiente, promuovono iniziative per orientare i cittadini al consumo dell'acqua di casa. In occasione del periodo di Quaresima 2008, il Sindaco di Venezia, Cacciari, unitamente al Patriarca, è stato testimonial della campagna "Imbrocchiamola!" come "Campagna dell'anno sulla prevenzione dei rifiuti": egli appare in un manifesto con lo slogan "Anch'io bevo acqua del sindaco", mentre si versa un bicchiere dalla brocca, con il logo della campagna, che l'azienda acquedottistica distribuisce gratuitamente ai cittadini.

Tra le iniziative avviate da più tempo, c'è quella del comune di Alba, che, nel 2000, ha promosso il consumo di acqua di rubinetto attraverso una campagna di educazione nelle scuole e sui media locali.

La Provincia di Firenze ha destinato da alcuni anni risorse economiche per progetti di prevenzione rifiuti: negli uffici del Comune sono stati installati apparecchi che erogano acqua di rubinetto, vietando l'acqua imbottigliata con un risultato atteso, in quattro anni, di un milione di bottigliette in meno. Il quartiere 4 sempre del capoluogo toscano, nel 2004, ha promosso, con il progetto Acquaquartiere, il consumo d'acqua di rubinetto con l'installazione di una fontanella pubblica, la distribuzione di apparecchi filtranti a utenze selezionate e la vendita di acqua trattata in bottiglie a rendere presso alcuni esercizi commerciali. Il campione monitorato ha registrato una discesa rapida dei consumi d'acqua minerale, che sono passati dal 98 al 56%.

La Provincia di Trento ha promosso una campagna sull'utilizzo dell'acqua del rubinetto e la riduzione degli imballaggi in plastica:"Apri il rubinetto e chiudi con la plastica".

La Provincia di Ferrara ha installato colonnine refrigeranti, allacciate alla rete idrica, che erogano acqua potabile controllata, presso scuole, circoli culturali, centri anziani, mense scolastiche e luoghi d'incontro.

Il Gruppo Hera da aprile 2008 promuove il progetto "Hera20", una speciale iniziativa rivolta agli oltre 6000 dipendenti con l'obiettivo di incentivare e di promuovere il consumo dell'acqua di rubinetto all'interno delle sedi aziendali, eliminando gradualmente da bar, mense ed uffici le bottigliette di plastica.

Anche il settore della ristorazione collettiva è coinvolto in iniziative di questo tipo: le ecosagre popolari promosse dalla Provincia di Parma e dal Comune e Provincia di Lucca e le mense ecosostenibili delle scuole di Campolongo Maggiore (Ve) hanno promosso l'utilizzo dell'acqua di rubinetto.

La Tasm Spa, partecipata della Provincia di Milano e da 24 Comuni del Sud Milano, ha predisposto le "Case dell'acqua": sono dei centri di distribuzione di acqua trattata, liscia o gassata, cui i cittadini hanno libero accesso fino ad un massimo giornaliero di litri, stabilito da apposita ordinanza sindacale. La media di erogazione di ogni casa dell'acqua è di oltre 2500 litri al giorno.

Si tratta soprattutto di una battaglia culturale perché il vero cambiamento potrà esserci solo quando ognuno di noi avrà coscienza che, con un semplice gesto personale, a casa, al bar, al ristorante, può dare un contributo alla riduzione dei rifiuti nonché alle emissioni di anidride carbonica.

La prevenzione, anche in questo settore, può comportare costi importanti all'inizio, ma assicura un investimento, senza costi economici connessi, per il futuro di una città sostenibile.

www.federambiente.it/prevenzione
www.casadellacqua.com
www.imbrocchiamola.org

JEANMY BALLESTAS RUEDA, LUCA BARRACO, MARIA VITTORIA MASTELLA, CAMILLA SABATTINI, DANIELA POGGIALI, EROS TOPPANO, NORA GUANES, MARCELLO FOLEGATTI

Elogio dell’acqua del Sindaco



Assai spesso l'acqua delle Aziende pubbliche è più buona di quelle che acquistiamo nei negozi e, soprattutto, berla significherebbe dare un contributo importante alla riduzione dei rifiuti, seppure con un gesto quotidiano molto semplice.

Il consumo pro-capite d'acqua minerale in Italia è molto elevato: da circa sette anni siamo i primi consumatori al mondo, con circa 192 litri a testa all'anno (dati Minneracqua). Questo dato è determinato soprattutto da due fattori: i forti investimenti in comunicazione e marketing da parte delle aziende imbottigliatrici di minerale e, dall'altro, la ridotta fiducia verso l'acqua di rubinetto da parte dei consumatori.

Oggi molte Pubbliche Amministrazioni, stimolate da associazioni di tutela dell'ambiente, promuovono iniziative per orientare i cittadini al consumo dell'acqua di casa. In occasione del periodo di Quaresima 2008, il Sindaco di Venezia, Cacciari, unitamente al Patriarca, è stato testimonial della campagna "Imbrocchiamola!" come "Campagna dell'anno sulla prevenzione dei rifiuti": egli appare in un manifesto con lo slogan "Anch'io bevo acqua del sindaco", mentre si versa un bicchiere dalla brocca, con il logo della campagna, che l'azienda acquedottistica distribuisce gratuitamente ai cittadini.

Tra le iniziative avviate da più tempo, c'è quella del comune di Alba, che, nel 2000, ha promosso il consumo di acqua di rubinetto attraverso una campagna di educazione nelle scuole e sui media locali.

La Provincia di Firenze ha destinato da alcuni anni risorse economiche per progetti di prevenzione rifiuti: negli uffici del Comune sono stati installati apparecchi che erogano acqua di rubinetto, vietando l'acqua imbottigliata con un risultato atteso, in quattro anni, di un milione di bottigliette in meno. Il quartiere 4 sempre del capoluogo toscano, nel 2004, ha promosso, con il progetto Acquaquartiere, il consumo d'acqua di rubinetto con l'installazione di una fontanella pubblica, la distribuzione di apparecchi filtranti a utenze selezionate e la vendita di acqua trattata in bottiglie a rendere presso alcuni esercizi commerciali. Il campione monitorato ha registrato una discesa rapida dei consumi d'acqua minerale, che sono passati dal 98 al 56%.

La Provincia di Trento ha promosso una campagna sull'utilizzo dell'acqua del rubinetto e la riduzione degli imballaggi in plastica:"Apri il rubinetto e chiudi con la plastica".

La Provincia di Ferrara ha installato colonnine refrigeranti, allacciate alla rete idrica, che erogano acqua potabile controllata, presso scuole, circoli culturali, centri anziani, mense scolastiche e luoghi d'incontro.

Il Gruppo Hera da aprile 2008 promuove il progetto "Hera20", una speciale iniziativa rivolta agli oltre 6000 dipendenti con l'obiettivo di incentivare e di promuovere il consumo dell'acqua di rubinetto all'interno delle sedi aziendali, eliminando gradualmente da bar, mense ed uffici le bottigliette di plastica.

Anche il settore della ristorazione collettiva è coinvolto in iniziative di questo tipo: le ecosagre popolari promosse dalla Provincia di Parma e dal Comune e Provincia di Lucca e le mense ecosostenibili delle scuole di Campolongo Maggiore (Ve) hanno promosso l'utilizzo dell'acqua di rubinetto.

La Tasm Spa, partecipata della Provincia di Milano e da 24 Comuni del Sud Milano, ha predisposto le "Case dell'acqua": sono dei centri di distribuzione di acqua trattata, liscia o gassata, cui i cittadini hanno libero accesso fino ad un massimo giornaliero di litri, stabilito da apposita ordinanza sindacale. La media di erogazione di ogni casa dell'acqua è di oltre 2500 litri al giorno.

Si tratta soprattutto di una battaglia culturale perché il vero cambiamento potrà esserci solo quando ognuno di noi avrà coscienza che, con un semplice gesto personale, a casa, al bar, al ristorante, può dare un contributo alla riduzione dei rifiuti nonché alle emissioni di anidride carbonica.

La prevenzione, anche in questo settore, può comportare costi importanti all'inizio, ma assicura un investimento, senza costi economici connessi, per il futuro di una città sostenibile.

www.federambiente.it/prevenzione
www.casadellacqua.com
www.imbrocchiamola.org

JEANMY BALLESTAS RUEDA, LUCA BARRACO, MARIA VITTORIA MASTELLA, CAMILLA SABATTINI, DANIELA POGGIALI, EROS TOPPANO, NORA GUANES, MARCELLO FOLEGATTI

giovedì 23 aprile 2009

Ricostruzione, Terremoto Culturale

Il recente terremoto in Abruzzo ha segnato gli Italiani con tragiche immagini di distruzione ed ha acceso enormi dibattiti tra chi è, o si sente, coinvolto nella ricostruzione.




Il coinvolgimento si sviluppa in vari livelli: da un lato i tecnici ed i progettisti sono chiamati a mettere in pratica le loro competenze; dall'altro i cittadini attendono di ricostruirsi una vita. Ci sono poi gli spettatori, come noi del resto, che si sentono coinvolti nelle riflessioni sul come e cosa fare. Ci poniamo quindi alcuni interrogativi.

La prima grande questione, riguarda il trade-off tra l'agire ricostruendo tempestivamente ed il prendersi del tempo per "ri - progettare" il territorio abruzzese. Il Governo parla di "ricostruzione accelerata", ponendo l'accento sull'esigenza di efficienza e rapidità degli interventi. Sorge spontaneo il domandarsi se questa sia effettivamente la risposta più adeguata. Un'ottica di lungo periodo implica una pianificazione accurata.

Se da un lato, infatti, risolvere quanto prima il problema degli sfollati porta ad un vantaggio dal punto di vista dei costi che lo Stato deve sostenere, dall'altro è strettamente legato ai rischi di una ricostruzione frettolosa sul piano della qualità degli edifici e nella progettazione del territorio interessato.


Altra questione riguarda la scelta fra il ricostruire tutto come prima, mantenendo le precedenti destinazioni d'uso degli edifici e la struttura spaziale urbana, oppure ripensare gli spazi terremotati. In altre parole, ricostruire o costruire? Il Governo, propone di ricostruire nuovi nuclei sul modello delle "new town" inglesi o dell'italiana "Milano 2",al di fuori degli attuali centri abitativi distrutti. Questa soluzione, la più economica e veloce, comporterebbe oltre all'urbanizzazione di nuovo spazio, l'abbandono dei centri storici, espressione dell'unità culturale delle città e testimoni del passato e delle tradizioni.

Una diversa proposta, condivisa da molti, è quella di considerare il vuoto lasciato dal terremoto come un'occasione per ricostruire meglio di prima. Ricostruire sugli insediamenti precedenti, modificando, dove necessario e vantaggioso per la viabilità, il tessuto urbano. Puntare alla conservazione del patrimonio storico, avere anche il coraggio di demolire i quartieri a rischio di nuovi sismi e, soprattutto, pensare a nuove destinazioni d'uso ed organizzazioni spaziali per quei piccoli centri spopolati, svuotati e in qualche caso degradati.

Importante: la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali che riguardano il territorio attraverso la concertazione di piani di recupero e ricostruzione, migliora il progetto, crea e rinsalda il capitale sociale e le reti di interazioni tra le persone coinvolte. Ciò contribuisce alla ricostruzione, non solo fisica, di una comunità distrutta, i cui membri, da protagonisti passivi della catastrofe naturale, diventano soggetti attivi di un progetto di valorizzazione del bene comune.


Link:

http://eddyburg.it/article/view/12991/

http://geograficamente.wordpress.com/2009/04/09/come-e-dove-ricostruire-dopo-il-sisma/

http://www.corriere.it/cronache/notizie/aprile_2009_3.html



Benedetto Botturi, Tatiana Fonti, Elisa Leggieri, Emilia Manfredi,
Paola Miranda Morales, Francesca Palli, Mariana Rietti, Ornella Sottile

Ricostruzione, Terremoto Culturale

Il recente terremoto in Abruzzo ha segnato gli Italiani con tragiche immagini di distruzione ed ha acceso enormi dibattiti tra chi è, o si sente, coinvolto nella ricostruzione.




Il coinvolgimento si sviluppa in vari livelli: da un lato i tecnici ed i progettisti sono chiamati a mettere in pratica le loro competenze; dall'altro i cittadini attendono di ricostruirsi una vita. Ci sono poi gli spettatori, come noi del resto, che si sentono coinvolti nelle riflessioni sul come e cosa fare. Ci poniamo quindi alcuni interrogativi.

La prima grande questione, riguarda il trade-off tra l'agire ricostruendo tempestivamente ed il prendersi del tempo per "ri - progettare" il territorio abruzzese. Il Governo parla di "ricostruzione accelerata", ponendo l'accento sull'esigenza di efficienza e rapidità degli interventi. Sorge spontaneo il domandarsi se questa sia effettivamente la risposta più adeguata. Un'ottica di lungo periodo implica una pianificazione accurata.

Se da un lato, infatti, risolvere quanto prima il problema degli sfollati porta ad un vantaggio dal punto di vista dei costi che lo Stato deve sostenere, dall'altro è strettamente legato ai rischi di una ricostruzione frettolosa sul piano della qualità degli edifici e nella progettazione del territorio interessato.


Altra questione riguarda la scelta fra il ricostruire tutto come prima, mantenendo le precedenti destinazioni d'uso degli edifici e la struttura spaziale urbana, oppure ripensare gli spazi terremotati. In altre parole, ricostruire o costruire? Il Governo, propone di ricostruire nuovi nuclei sul modello delle "new town" inglesi o dell'italiana "Milano 2",al di fuori degli attuali centri abitativi distrutti. Questa soluzione, la più economica e veloce, comporterebbe oltre all'urbanizzazione di nuovo spazio, l'abbandono dei centri storici, espressione dell'unità culturale delle città e testimoni del passato e delle tradizioni.

Una diversa proposta, condivisa da molti, è quella di considerare il vuoto lasciato dal terremoto come un'occasione per ricostruire meglio di prima. Ricostruire sugli insediamenti precedenti, modificando, dove necessario e vantaggioso per la viabilità, il tessuto urbano. Puntare alla conservazione del patrimonio storico, avere anche il coraggio di demolire i quartieri a rischio di nuovi sismi e, soprattutto, pensare a nuove destinazioni d'uso ed organizzazioni spaziali per quei piccoli centri spopolati, svuotati e in qualche caso degradati.

Importante: la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali che riguardano il territorio attraverso la concertazione di piani di recupero e ricostruzione, migliora il progetto, crea e rinsalda il capitale sociale e le reti di interazioni tra le persone coinvolte. Ciò contribuisce alla ricostruzione, non solo fisica, di una comunità distrutta, i cui membri, da protagonisti passivi della catastrofe naturale, diventano soggetti attivi di un progetto di valorizzazione del bene comune.


Link:

http://eddyburg.it/article/view/12991/

http://geograficamente.wordpress.com/2009/04/09/come-e-dove-ricostruire-dopo-il-sisma/

http://www.corriere.it/cronache/notizie/aprile_2009_3.html



Benedetto Botturi, Tatiana Fonti, Elisa Leggieri, Emilia Manfredi,
Paola Miranda Morales, Francesca Palli, Mariana Rietti, Ornella Sottile

De turismo consumible a turismo sostenible

DE TURISMO CONSUMISTA A TURISMO SOSTENIBLE

Según La Real Academia Española, el término "Turismo" hace referencia a la "actividad o hecho de viajar por placer"; pero el hecho de no prever que algún día no tendremos lugares atractivos y sanos que visitar, gracias al consumismo no responsable, producido por esta actividad, ha creado la inquietud de convertirlo en turismo sostenible. No es que al hacer que el turismo en nuestras ciudades se vuelva sostenible, va a dejar de ser consumista, pero la idea de todo esto, es que sea un consumo responsable, que garantice que las generaciones futuras, puedan disfrutar de los privilegios de esos lugares considerados patrimonios o simplemente atractivos para conocer, sin afectar a las regiones receptoras.

Esto nos lleva a pensar que "para gozar de la biodiversidad, por ejemplo, hemos de desplazarnos y consumir energía. ¿Debemos por ello renunciar completamente al turismo como un acto "consumista"? Del mismo modo, ¿es consumista leer un periódico? Sabemos que la edición del dominical del New York Times, por ejemplo, supone la desaparición de una amplia zona boscosa de Canadá, pero ¿acaso la existencia de una prensa libre no es una de las condiciones de la democracia? "1

Ciudades como Cartagena de Indias en Colombia, viven del turismo entre otras actividades, pero esto genera solo beneficios para algunos pocos y aunque conservan en buen estado la zona de la ciudad considerada patrimonio, un gran porcentaje del resto de los habitantes se consumen en la miseria sin poder disfrutar de los beneficios de vivir en medio de tanta riqueza cultural, histórica y natural. Esto ya no solo es un problema de falta de estrategias, sino de corrupción y mal manejo de los dineros recibidos de las actividades que genera el turismo.

Entonces, ¿Cómo hacer para que los ingresos producidos por determinadas actividades turísticas no tomen caminos diferentes al deseado?

Una de las soluciones primordiales seria concientizar a la ciudadanía receptora, a través de programas y campañas educativas, que sean atractivas para ellos, y de esta manera se sientan interesados y casi que obligados a involucrarse, pues es hora de que unos a otros enseñen la importancia de la permanencia de nuestros lugares con especial cualidad, en el tiempo presente y futuro para provecho de toda la humanidad, y que se esté atento al manejo que se le da a dichos recursos, para que sean destinados exclusivamente en provecho de la población y mejoras del territorio, pero, será esto suficiente?

La cuestión está en averiguar, cuál es el camino indicado para llegar a una realidad de, generación de empleos para los nativos de esos lugares, que se genere un comercio justo a través de ecotasas, basado en el consumismo responsable por parte de turistas y personas nativas que visiten el lugar, que se reconozca el sitio como un todo, como un ecosistema biodiverso naturalmente, pero también con un gran valor histórico y cultural, para de esta manera poder apreciarlo y cuidarlo, porque lo que se conoce, se ama y lo que se ama, se cuida!



JEANMY BALLESTAS RUEDA, LUCA BARRACO, MARIA VITTORIA MASTELLA

CAMILLA SABATTINI, DANIELA POGGIALI, EROS TOPPANO, NORA GUANES

MARCELLO FOLEGATTI

De turismo consumible a turismo sostenible

DE TURISMO CONSUMISTA A TURISMO SOSTENIBLE

Según La Real Academia Española, el término "Turismo" hace referencia a la "actividad o hecho de viajar por placer"; pero el hecho de no prever que algún día no tendremos lugares atractivos y sanos que visitar, gracias al consumismo no responsable, producido por esta actividad, ha creado la inquietud de convertirlo en turismo sostenible. No es que al hacer que el turismo en nuestras ciudades se vuelva sostenible, va a dejar de ser consumista, pero la idea de todo esto, es que sea un consumo responsable, que garantice que las generaciones futuras, puedan disfrutar de los privilegios de esos lugares considerados patrimonios o simplemente atractivos para conocer, sin afectar a las regiones receptoras.

Esto nos lleva a pensar que "para gozar de la biodiversidad, por ejemplo, hemos de desplazarnos y consumir energía. ¿Debemos por ello renunciar completamente al turismo como un acto "consumista"? Del mismo modo, ¿es consumista leer un periódico? Sabemos que la edición del dominical del New York Times, por ejemplo, supone la desaparición de una amplia zona boscosa de Canadá, pero ¿acaso la existencia de una prensa libre no es una de las condiciones de la democracia? "1

Ciudades como Cartagena de Indias en Colombia, viven del turismo entre otras actividades, pero esto genera solo beneficios para algunos pocos y aunque conservan en buen estado la zona de la ciudad considerada patrimonio, un gran porcentaje del resto de los habitantes se consumen en la miseria sin poder disfrutar de los beneficios de vivir en medio de tanta riqueza cultural, histórica y natural. Esto ya no solo es un problema de falta de estrategias, sino de corrupción y mal manejo de los dineros recibidos de las actividades que genera el turismo.

Entonces, ¿Cómo hacer para que los ingresos producidos por determinadas actividades turísticas no tomen caminos diferentes al deseado?

Una de las soluciones primordiales seria concientizar a la ciudadanía receptora, a través de programas y campañas educativas, que sean atractivas para ellos, y de esta manera se sientan interesados y casi que obligados a involucrarse, pues es hora de que unos a otros enseñen la importancia de la permanencia de nuestros lugares con especial cualidad, en el tiempo presente y futuro para provecho de toda la humanidad, y que se esté atento al manejo que se le da a dichos recursos, para que sean destinados exclusivamente en provecho de la población y mejoras del territorio, pero, será esto suficiente?

La cuestión está en averiguar, cuál es el camino indicado para llegar a una realidad de, generación de empleos para los nativos de esos lugares, que se genere un comercio justo a través de ecotasas, basado en el consumismo responsable por parte de turistas y personas nativas que visiten el lugar, que se reconozca el sitio como un todo, como un ecosistema biodiverso naturalmente, pero también con un gran valor histórico y cultural, para de esta manera poder apreciarlo y cuidarlo, porque lo que se conoce, se ama y lo que se ama, se cuida!



JEANMY BALLESTAS RUEDA, LUCA BARRACO, MARIA VITTORIA MASTELLA

CAMILLA SABATTINI, DANIELA POGGIALI, EROS TOPPANO, NORA GUANES

MARCELLO FOLEGATTI

lunedì 20 aprile 2009

Il Compasso Ligneo

UNA TECNICA COSTRUTTIVA SEMPLICE REPLICABILE E SVILUPPABILE

Un compasso di derivazione nubiana si è rivelato,grazie all'intraprendenza e al fervore intellettuale dell'Arch. Fabrizio Caròla,uno strumento dalle molteplici applicazioni.

Da un compasso ligneo ancorato al centro di una pianta circolare con braccio uguale al raggio, si ottenevano cupole sferiche, simili alle capanne delle popolazioni nomadi; una semplice ma non banale modifica di questo strumento ha sancito il passaggio dalla cupola sferica ad ogiva.

Sempre fissato al centro, con un raggio maggiorato di una variabile "x" e un'origine dello stesso ad un'altezza "y", permette di slanciare e spanciare la struttura stessa, garantendo il totale utilizzo del volume interno ed eliminando la sensazione di oppressione tipica della sferica.





La genialità della soluzione è arricchita dalle sue molteplici potenzialità:



  • Semplicità di utilizzo;

  • Replicabilità o riproducibilità;

  • Realizzazione di auto-costruzioni, estremamente semplici e alla portata di tutti;

  • Molteplicità delle forme ottenibili con poche variazioni;

  • Bellezza delle architetture;

  • Uso di materiali naturali:pietra, tufo, mattoni



L'applicabilità di questo ha trovato la sua piena espressione in Africa.

In Mali lo Cheval Blanc, un hotel dall' atmosfera paradisiaca; in Mauritania l'Ospedale di Kaedì la cui progettazione trova la sua concretezza nel soddisfacimento dei bisogni dei pazienti.





Come ebbe a dire lo stesso Caròla:

"Durante la mia indagine preliminare, visitando le vecchia struttura, fui colpito dalla confusione creata dalla presenza permanente delle famiglie dei pazienti che intralciavano i movimenti dei medici e degli infermieri. Interrogati, i medici mi risposero che l'assistenza dei familiari era indispensabile, avendo constatato che questa presenza continua dei parenti contribuiva alla loro guarigione. Fui molto toccato da questa informazione e posi questo dato, che ho chiamato famiglio-terapia, alla base del nuovo progetto. Dopo molte riflessioni e tentativi pensai di fare "esplodere la pianta" e, invece di un ospedale compatto, realizzare un edificio aperto che permettesse alle famiglie di accamparsi in prossimità delle camere di degenza".



E' la famiglio-terapia che detta le soluzioni progettuali: la disgregazione della pianta e un doppio accesso per ogni "camera" ( uno riservato ai medici, l'altro sul cortile esterno luogo di ritrovo per i parenti a stretto e continuo contatto con i pazienti )diventano legge nella struttura ospedaliera.











Il Compasso Ligneo

UNA TECNICA COSTRUTTIVA SEMPLICE REPLICABILE E SVILUPPABILE

Un compasso di derivazione nubiana si è rivelato,grazie all'intraprendenza e al fervore intellettuale dell'Arch. Fabrizio Caròla,uno strumento dalle molteplici applicazioni.

Da un compasso ligneo ancorato al centro di una pianta circolare con braccio uguale al raggio, si ottenevano cupole sferiche, simili alle capanne delle popolazioni nomadi; una semplice ma non banale modifica di questo strumento ha sancito il passaggio dalla cupola sferica ad ogiva.

Sempre fissato al centro, con un raggio maggiorato di una variabile "x" e un'origine dello stesso ad un'altezza "y", permette di slanciare e spanciare la struttura stessa, garantendo il totale utilizzo del volume interno ed eliminando la sensazione di oppressione tipica della sferica.





La genialità della soluzione è arricchita dalle sue molteplici potenzialità:



  • Semplicità di utilizzo;

  • Replicabilità o riproducibilità;

  • Realizzazione di auto-costruzioni, estremamente semplici e alla portata di tutti;

  • Molteplicità delle forme ottenibili con poche variazioni;

  • Bellezza delle architetture;

  • Uso di materiali naturali:pietra, tufo, mattoni



L'applicabilità di questo ha trovato la sua piena espressione in Africa.

In Mali lo Cheval Blanc, un hotel dall' atmosfera paradisiaca; in Mauritania l'Ospedale di Kaedì la cui progettazione trova la sua concretezza nel soddisfacimento dei bisogni dei pazienti.





Come ebbe a dire lo stesso Caròla:

"Durante la mia indagine preliminare, visitando le vecchia struttura, fui colpito dalla confusione creata dalla presenza permanente delle famiglie dei pazienti che intralciavano i movimenti dei medici e degli infermieri. Interrogati, i medici mi risposero che l'assistenza dei familiari era indispensabile, avendo constatato che questa presenza continua dei parenti contribuiva alla loro guarigione. Fui molto toccato da questa informazione e posi questo dato, che ho chiamato famiglio-terapia, alla base del nuovo progetto. Dopo molte riflessioni e tentativi pensai di fare "esplodere la pianta" e, invece di un ospedale compatto, realizzare un edificio aperto che permettesse alle famiglie di accamparsi in prossimità delle camere di degenza".



E' la famiglio-terapia che detta le soluzioni progettuali: la disgregazione della pianta e un doppio accesso per ogni "camera" ( uno riservato ai medici, l'altro sul cortile esterno luogo di ritrovo per i parenti a stretto e continuo contatto con i pazienti )diventano legge nella struttura ospedaliera.