lunedì 21 marzo 2011

Il patrimonio culturale: ponte tra memoria e valorizzazione. INTRODUZIONE



Il termine patrimonio deriva dal latino patrimonium in riferimento all’insieme dei beni appartenenti alla famiglia ed ereditati da padre in figlio, il termine latino patrimonium però a sua volta, deriva dall’insieme delle parole pater e monus, ponendo quindi l’attenzione non tanto sull’insieme dei beni in sé, quanto piuttosto sul compito del padre, sull’azione di sensibilizzazione della nuova generazione da parte di chi la precede.


Il concetto europeo di patrimonio culturale invece, è un prodotto storico con un riferimento spazio temporale ben preciso, la Francia pre-Restaurazione, quando nel tentativo di ridare ordine alla società post-Rivoluzionaria, si elabora il concetto di Stato attribuendo per la prima volta una personalità giuridica al popolo, alla collettività dei cittadini nella veste della Nazione. Il patrimonio culturale nasce perciò dal riconoscimento di una collettività che in esso si riconosce, non si può parlare di patrimonio culturale senza parlare quindi di collettività.



Ma che cos’è davvero un patrimonio? Per rispondere a questa domanda il riferimento ai testi istituzionali e ai corpi legislativi non ha fatto altro che aumentare la nostra sensazione di una completa mancanza di un accordo su una definizione universale e sul vano tentativo di redigerne un modello assoluto, proviamo per questo ad esporre piuttosto le rielaborazioni critiche che ci hanno accompagnato in questi giorni.

Potremmo considerare il patrimonio in sintesi, come il risultato di un processo di patrimonializzazione che nasce dalla produzione spontanea del valore patrimoniale a seconda della società, si realizza nella presa di coscienza e vera e propria acquisizione del valore patrimoniale da parte dell’oggetto e si concretizza infine nell’acquisizione di una identità patrimoniale che la collettività decide di gestire e di trasmettere alle generazioni future. Un processo di patrimonializzazione quindi che non è statico, ma anzi dinamico ed evolutivo, che ci parla e si riferisce alle scelte e alla formazione della società presente piuttosto che di quella passata. Il patrimonio quindi come strumento della memoria, a resistere contro l’oblio, il patrimonio e la memoria, il patrimonio perché memoria, riconoscimento della propria identità, formazione della propria personalità e delle scelte alla base dell’azione.





Riferirsi all’azione, al futuro, allo sviluppo: nel momento in cui si parla di patrimonio, vuol dire riflettere sulla conflittualità o meno del rapporto tra conservazione e innovazione, e ammettere forse che una sana innovazione è in sinergia con le finalità della conservazione.

Se è proprietà insita di un patrimonio quello di essere passato alle generazioni future, la fruizione ne comporta un necessario consumo, valorizzare un patrimonio dunque: è accettazione della sua inevitabile fine? Coerentemente con il riconoscimento del patrimonio non nel bene in sé, quanto piuttosto nella relazione tra la collettività e quel bene, non è possibile rispondere forse a questa domanda se non con un altra domanda, riflettendo ad esempio sul concetto di adapting riuse, chiedendoci cioè se a volte, non potrebbero essere piuttosto le caratteristiche di un bene a poter mettere in discussione il modo di essere del soggetto. In che casi un patrimonio potrebbe essere un pretesto per migliorare le abitudini di una collettività ancor prima che questa decida di modificarlo?







Matias Barberis, Donato Calderoni, Marina Garcia Leal Scodro, Chiara Porretta, Thaíssa Junqueira Zacarias